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Il Durc e l’edilizia privata

Il Durc e l’edilizia privata

NON è molto difficile spiegarsi come mai, nell’ambito di un convegno tenutosi a Roma e relativo al lavoro sommerso, anche il sottosegretario al ministero del Welfare, in linea con gli orientamenti dei sindacati oltre che degli imprenditori operanti nel settore edile, si sia dichiarato assolutamente favorevole ad estendere anche alla categoria dei lavori privati – che allo stato rappresenta sicuramente un’alta percentuale del totale dell’attività nelle costruzioni – il Documento Unico di Regolarità Contributiva (Durc). Il Durc è nato, tra l’altro, dalla necessità di combattere il fenomeno del lavoro sommerso ed irregolare e passare da questi ultimi ad un regime di legalità; dalla necessità di affrontare le problematiche connesse agli infortuni e alle morti bianche e finalmente arrivare ad un accettabile livello di sicurezza nei cantieri; dalla necessità di salvare il mercato del lavoro dalla destrutturazione e dequalificazione a favore di una qualificazione della professionalità. Una espressione di successo del Durc va ravvisata sicuramente nel fatto che lo stesso, dopo essere stato adottato in varie città ed esclusivamente con riferimento ai lavori pubblici, è stato candidato a divenire uno strumento da utilizzare in tutta Italia ed anche nel settore dell’edilizia privata. Con ogni probabilità il successo del Durc si basa sull’originalità del principio secondo cui l’abbattimento del costo del lavoro, quanto mai indispensabile nel settore dell’edilizia, va affrontato tramite l’adozione di strumenti e soluzioni che – avendo tenuto ben presente quanto le imprese regolari e legali subiscano pregiudizi e svantaggi economici a causa del regime di irregolarità adottato da imprese senza scrupoli – volgono ad incentivare e premiare le imprese più rispettabili. L’idea di estendere a tutto il territorio nazionale oltre che ai lavori privati, anche se in forma semplificata, il Documento Unico di Regolarità Contributiva è stata promossa dai sindacati di categoria che si sono rivolti al ministero del Lavoro richiedendo un intervento legislativo in tal senso. L’impegno, lo sforzo ed il lavoro che, nel tempo, sono stati portati avanti al fine di rendere evidente la funzionalità e l’efficacia dello strumento, oltre che la necessità dell’applicazione dello stesso anche al comparto dell’edilizia privata – noto per essere uno degli ambiti in cui il fenomeno del lavoro nero trova terreno fertile e riesce ad esprimersi con maggiore facilità – hanno finalmente portato ad un concreto risultato. Il Governo, nell’ottica di garantire la trasparenza e l’efficacia del mercato del lavoro, anche attraverso mezzi atti a contrastare il lavoro nero ed irregolare, ha provveduto a disegnare lo schema del decreto legislativo di attuazione della cosiddetta riforma Biagi (legge n.30 del 2003). Le disposizioni di cui all’art. 86 del suddetto decreto legislativo prevedono delle modifiche da apportare al Dlgs n. 494/1996, relativo alla sicurezza nei cantieri. Le suddette modifiche – che tramite le disposizioni di cui al menzionato decreto di attuazione si intendono apportare al Dlgs 494/1996 – si fondano sull’aver preso sempre più coscienza che, allo stato, si rende necessaria una particolare attenzione al settore dei lavori privati, ed in particolare ai piccoli lavori, laddove i lavori pubblici sono oggetto di una normativa molto più corposa che, tra l’altro, impone controlli molto più severi. E’ inevitabile, al fine di comprendere quanto sia necessario intervenire in tema di edilizia privata, evidenziare alcune dinamiche che hanno, con particolare riferimento ai lavori privati, contribuito ad esaltare l’illegalità di questo segmento del mercato delle costruzioni, lo sleale confronto concorrenziale, la scarsa qualità del prodotto, il rallentamento della crescita industriale delle imprese e, sopra ogni cosa, il dilagare del lavoro sommerso. Per comprendere i fenomeni che ancora oggi deprimono il settore dell’edilizia ed in particolare la sezione dei lavori privati è inevitabile fare un salto nel passato. La incontenibile quanto disorganizzata espansione urbana realizzata spesso, ed in alcuni casi volentieri, in violazione o, ancor peggio, in assenza di piani regolatori, in modo frammentario o addirittura abusivo, ha generato una serie di squilibri, disfunzioni e storture che hanno ostacolato una regolare e sana evoluzione del mercato dell’edilizia. L’edilizia post-bellica – nella sua stragrande maggioranza frutto di lavori frettolosi ed abusivi portati avanti con materiali scadenti ed in violazione delle regole tecniche più elementari – è assolutamente priva di qualità. Solo una efficiente pianificazione urbanistica come una fitta e valida rete di regole a governo del territorio avrebbero potuto arrestare, o quantomeno ridurre, la perpetuazione di tale situazione laddove, invece, la mancanza di leggi che regolassero l’uso del suolo edificabile e l’assenza di pianificazione territoriale hanno favorito la speculazione edilizia. Fino alla fine degli anni 70 l’edilizia residenziale aveva rappresentato l’elemento trainante dell’intero settore delle costruzioni, una forte domanda seguita da ingenti investimenti aveva portato ad uno sviluppo espansivo delle città. Nostro malgrado, tutto ciò, nella maggior parte dei casi, è stato fatto scavalcando, disattendendo o completamente ignorando i piani regolatori ed ogni eventuale altra regola urbanistica, il tutto a favore del dilagare dell’attività abusiva. Per assurdo, allorquando – all’inizio degli anni 80 – si è dato inizio a discussioni volte alla formulazione di un provvedimento capace di combattere le iniziative edilizie e urbanistiche abusive, conseguenza nefasta di un mancato governo del territorio, abbiamo assistito alla massima espressione dell’abusivismo e della delegittimazione della pianificazione urbanistica. La scelta di procedere con lo strumento del condono nei confronti dell’abusivismo pregresso sembrerebbe aver spianato la strada all’abusivismo del futuro. In particolare, da una stima fatta risulterebbe che sono abusive un quinto delle nuove costruzioni effettuate tra il 1982 e il 1998. Sfortunatamente, il condono dell’abusivismo edilizio e urbanistico si è trasformato, per alcuni versi, in un incentivo a favore delle iniziative abusive. Il condono ha contribuito a consolidare l’atteggiamento e la cultura di operare senza tener conto ed in violazione di ogni pianificazione urbanistica volta all’assetto delle città e regolamentazione del territorio. Purtroppo ciò che era stato pensato per la pianificazione del territorio si è rivelato, in alcuni casi, uno strumento di distruzione dello stesso. La nostra legislazione urbanistica di base, di certo, è poco attuale e le frammentarie leggi e leggine che si sono susseguite e spesso sovrapposte in modo contraddittorio non possono ritenersi essere state in grado di svolgere la propria funzione laddove, per assurdo, in alcuni casi si sono rilevate addirittura complici di un diffuso abusivismo edilizio. L’effetto della realizzazione, senza controlli, di un enorme patrimonio immobiliare, il fenomeno tutto italiano dell’abusivismo edilizio, la presenza sul territorio di edifici caratterizzati da tecniche costruttive mediocri e materiali scadenti hanno comportato una depressione degli investimenti nell’edilizia privata. Spesso gli imprenditori posti dinnanzi ad un mercato vicino alla saturazione sono stati costretti, laddove non hanno accettato di agire illegalmente, ad uscire dal ciclo produttivo. Avvertendo l’acutissima sofferenza di questi ultimi, gli specialisti del settore si sono attivati per tentare una ripresa dell’edilizia privata. Si è giunti alla conclusione secondo cui, al fine di assicurare la ripresa di questo comparto dell’edilizia, è necessario recuperare il patrimonio esistente oltre che rinnovare il tessuto urbano del nostro Paese. Si impongono interventi di manutenzione e riqualificazione urbana, di adeguamento e manutenzione del patrimonio residenziale e non. La possibilità di attirare l’investimento privato verso l’attività edilizia è stata ravvisata nell’adozione di normative certe in materia
urbanistica, tali da organizzare e propriamente definire gli interventi sul territorio, combattere le produzioni abusive – che lo degradano e danneggiano – e favorire lo sviluppo sensato e programmato delle costruzioni. Da qui la necessità di intervenire soprattutto con riferimento alla riqualificazione ed al ripristino delle aree degradate nel pieno rispetto, questa volta, dei principi di trasparenza e concorrenza leale. A seguito di queste premesse non dovrebbe risultare difficile comprendere come il mercato dell’edilizia, ed in particolare modo quello dell’edilizia privata – saturo di prodotti assolutamente scadenti ed ingolfato da una normativa poco utile se non deleteria – ancora oggi si trova a dover affrontate le suddette irrisolte problematiche e le ulteriori conseguenze che le stesse determinano all’interno del settore. Viene da sé che il diffuso abusivismo edilizio reggendosi sul lavoro nero e creando un mercato parallelo fondato sull’illegalità, impedisce il decollo dell’edilizia privata e mantiene in vita un’inaccettabile situazione. L’edilizia abusiva – nell’agire in esenzione dallo Stato, nella illegalità più assoluta, non solo dei parametri urbanistici, ma di qualsiasi norma vigente, comprese quelle tributarie – ha favorito e continua a favorire il dilagare del lavoro sommerso e la prosperità di un mercato nero di tutti i materiali di cui il settore edile si avvale. Inevitabilmente il regime di concorrenza diventa sleale a discapito delle imprese che rispettano le regole, pagano le tasse ed i contributi. Laddove lo stesso committente richiede un lavoro irregolare il tutto tende a svolgersi in un regime di illegalità, infatti, quasi inevitabilmente, il fornitore dello stesso sarà parimenti irregolare e, a sua volta, si avvarrà di lavoratori in nero. Inoltre, come visto, la crisi del processo di espansione delle città – che ha caratterizzato il nostro Paese – ha portato ad una apertura della sezione dell’edilizia privata verso l’attività di manutenzione e ristrutturazione. Purtroppo, è stato rilevato che la semplice manutenzione e ristrutturazione edilizia ricorre ad una imprenditoria scarsamente qualificata e, ancor peggio, al lavoro nero. Quanto riportato ci porta a concludere che è necessario, oltre che assolutamente urgente, creare, applicare ed estendere strumenti capaci di far emergere il lavoro sommerso nell’edilizia privata, più che in quella pubblica. L’assoluta facilità con cui il lavoro nero riesce ad acquisire lavori privati costituisce una seria minaccia per l’edilizia privata e va, pertanto, combattuta aumentando i controlli e rendendo il lavoro sommerso meno conveniente. Tra gli strumenti adottati nell’ottica di procedere con misure in grado di avviare la riqualificazione urbana, l’emersione del lavoro nero, lo sviluppo delle imprese e dell’occupazione, va certamente annoverato lo sgravio fiscale del 36% e la riduzione dell’Iva al 10% per i lavori di ristrutturazione. Lo sgravio fiscale, così concesso a chi intende avviare i lavori di ristrutturazione, ha lo scopo di far insorgere un “conflitto di interessi” tra privati. Infatti il committente che intende avvalersi dell’agevolazione fiscale, concessagli dallo Stato per il rinnovo dell’immobile, avrà un interesse personale alla corretta fatturazione dell’opera di ristrutturazione. Detta fatturazione, infatti, gli sarà indispensabile in sede fiscale quale testimonianza dei lavori compiuti. Lo sgravio, così concepito, avrà l’ulteriore effetto di sottrarre il committente dell’opera alla tentazione di far svolgere l’opera in nero al fine di ottenere una riduzione sul prezzo finale della stessa. I suddetti incentivi fiscali – peraltro in vigore dal ’97 con uno sgravio Irpef al 41% ridotto successivamente al 36% – hanno registrato un assoluto successo in termini di lavori di ristrutturazione avviati, emersione del lavoro sommerso oltre che miglioramento delle strutture abitative e non. Ha, altresì, registrato un inequivocabile successo la normativa secondo cui le aziende edili possono beneficiare di una speciale riduzione contributiva pari all’11,50% per i lavoratori occupati per almeno 40 ore alla settimana. Nonostante ciò, l’evasione contributiva ed il fenomeno del lavoro sommerso continuano ad essere fortemente presenti nel settore dell’edilizia privata. Le sacche di lavoro sommerso, irregolare e clandestino, peraltro strettamente collegate all’andamento infortunistico, si annidano soprattutto nei piccoli cantieri. Piccole imprese, a scapito della qualità e affidabilità delle opere, pur di restare sul mercato non applicano i contratti collettivi di lavoro, evadono contributi e tasse oltre ad avvalersi della mano d’opera meno tutelata. Benché gli sgravi abbiano rappresentato un utilissimo strumento per aiutare un settore in crisi ed avviarlo verso il recupero e benché, congiuntamente agli altri strumenti adottati – come il summenzionato sconto contributivo – abbiano contribuito a migliorare le condizioni in cui versa il settore delle costruzioni, bisogna evidenziare che non possono e non sono risultati risolutivi delle individuate problematiche che, malgrado tutto, continuano a inquinare il mondo dell’edilizia con particolare riferimento a quella privata. Ne discende l’esigenza di integrare i summenzionati strumenti, ai quali peraltro sarebbe opportuno conferire carattere di stabilità, con le manovre di controllo della regolarità contributiva da applicarsi anche con riferimento ai committenti di lavori privati. Proprio da questa esigenza nasce il citato art. 86 del decreto legislativo di attuazione della riforma del mercato del lavoro che prevede la modifica di alcune norme di cui al D.lgs 494/1996. La disposizione innovativa, nell’aumentare gli adempimenti posti a carico dei committenti privati, prevede che prima dell’inizio dei lavori – con riferimento ai quali è stata richiesta la concessione edilizia o effettuata la denunzia di inizio attività – questi ultimi comunichino all’amministrazione concedente il nominativo dell’impresa incaricata dell’effettuazione dei lavori laddove, contestualmente, dovranno altresì provvedere a trasmettere alla stessa amministrazione la documentazione comprovante la regolarità contributiva dell’impresa selezionata. Al fine poi di semplificare la procedura ed il corretto assolvimento dei nuovi adempimenti posti a carico del committente privato è stata prevista la possibilità che, a seguito della stipulazione di apposite convenzioni tra Inps, Inail e Casse Edili, anche queste ultime possano rilasciare i certificati di regolarità contributiva. Peraltro, l’eventuale conclusione delle suddette convenzioni consentirebbe di incrociare i dati a disposizione permettendo una verifica molto più incisiva sulla situazione delle imprese. Gli stessi imprenditori, i sindacati del settore e le associazioni di categoria, a seguito del successo ottenuto da questo strumento – laddove è stato applicato in materia di appalti pubblici – ritengono che l’utilizzazione dello stesso anche in materia di edilizia privata sia da ritenersi necessaria poiché la battaglia al lavoro sommerso ed alle inevitabili nefaste conseguenze che ne derivano è da ritenersi ancor più indispensabile in questo comparto del settore delle costruzioni.

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