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GLI INTERESSI SPORCHI DEI MERCANTI DI ARMI

GLI INTERESSI SPORCHI DEI MERCANTI DI ARMI

Manzano
Siria: questa foto del freelance Afp Javier Manzano ha vinto il Feature Photography Pulitzer 2013 (dal sito www.repubblica.it)

Dubbio o implicita accusa? La domanda posta da Papa Francesco durante l’Angelus, riguardo il possibile legame fra conflitti nel mondo e mercato delle armi, non solo è lecita ma punta direttamente l’attenzione su una zona grigia dove gli interessi delle lobby industriali, quelli di scaltri mercanti e quelli degli Stati si incrociano in maniera estremamente pericolosa. Insomma, basterebbe seguire con attenzione i flussi dei commerci leciti e illeciti di armamenti nel mondo per definire con precisione dove i prossimi conflitti sono destinati a scoppiare. Nonostante questa evidenza, molti Stati, a partire dall’Italia, continuano a vendere le loro armi nelle zone più “calde” del mondo ben sapendo che i risultati di questi commerci vanno a tutto vantaggio di industriali e dittatori ma a scapito della pace e della coesione internazionale.
Cosa rende, per esempio, così sicuri gli Stati Uniti che Assad sia in possesso di armi chimiche? La risposta è da ricercare nei rapporti commerciali fra Regno Unito e Siria. E’ proprio l’alleato britannico infatti uno dei principali fornitori di componenti per la costruzione delle armi chimiche del dittatore siriano. Una storia che si ripete invariata da anni, come sottolinea il Guardian, che accusa il governo di Sua Maestà di aver venduto armi a tutti i peggiori regimi dittatoriali dell’area a partire da Saddam Hussein per arrivare all’Iran. Un gioco pericolosissimo che si svolge sulla sottile linea di confine fra interessi privati e pubblici tenendo in poco, pochissimo conto la vita delle persone.
Un gioco a cui partecipano in troppi, soprattutto dall’interno dell’Unione Europea. Secondo i dati raccolti e diffusi dall’esperto Giorgio Beretta, appartenente alla rete Opal (Osservatorio permanente sulle armi leggere) e membro della Rete Italiana per il Disarmo, le esportazioni di armi dall’Europa sono in costante crescita e hanno superato i 37 miliardi di euro nel 2011 (ultimo dato disponibile) con un contestuale aumento delle autorizzazioni per l’export in quei paesi dove le tensioni sono già alte. E non è un caso che fra i principali clienti delle industrie europee ci siano l’Arabia Saudita, con oltre 4 miliardi di esportazioni, e gli Emirati Arabi, che a loro volta sono fra i principali sostenitori dei ribelli siriani.
Durissimo, in questo senso, il comunicato dell’Opal che accusa di ipocrisia l’intera comunità internazionale che non ha saputo, o non ha voluto, impedire l’invio di armi leggere verso la Siria e i paesi confinanti. Le esportazioni di fucili, carabine, pistole e mitragliatrici dall’Europa verso i paesi confinanti con la Siria sono raddoppiate o addirittura triplicate tra il 2010 e il 2011. Un flusso di armi a cui l’Italia partecipa, sottolinea l’Opal, in particolare attraverso la produzione che avviene nel bresciano. Secondo i dati del Sipri di Stoccolma, uno degli Istituti di ricerca più autorevoli al mondo, sarebbe proprio l’Italia a capeggiare la lista dei fornitori europei della Siria con oltre 130 milioni di dollari di esportazioni negli ultimi dieci anni mentre il primo fornitore globale di armi al regime di Assad si conferma essere la Russia.
Per quanto riguarda l’Italia è da notare come questo tipo di commercio sia in netto contrasto con la normativa vigente, la legge 185/1990 sull’export di armamenti, che vieta la vendita di armi a paesi in stato di conflitto armato o la cui politica non sia coerente con la nostra costituzione. Non è però questa l’unica anomalia che riguarda il nostro Paese, come sottolinea la Rete Italiana per il Disarmo che ha messo in evidenza la discordanza fra gli ultimi dati che il nostro governo ha fornito all’Europa sulle sue esportazioni e quelli forniti al Parlamento italiano. Secondo il rapporto messo a disposizione del Parlamento, l’Italia avrebbe effettuato un export per l’anno 2011 di oltre due miliardi e mezzo di euro mentre nel rapporto consegnato a Bruxelles questa cifra si abbassa drasticamente a circa un miliardo di euro. Insomma, anche ad altissimi livelli, il business delle armi riesce ad occultare le proprie tracce alzando una cortina fumogena intorno a tutte le operazioni in corso.
La Fim-Cisl, rappresentando i lavoratori della quasi totalità delle aziende che producono armi, componenti, sistemi e piattaforme destinate a un uso militare, attraverso il suo ufficio internazionale si è occupata, sin dagli anni 70, della questione ed ha partecipato attivamente alla campagna nazionale che ha portato all’approvazione nel 1990 della Legge 185 che regola l’esportazione di armi dall’Italia denunciando, negli ultimi anni, le violazioni della stessa normativa insieme alla Rete Italiana Disarmo. L’impegno della Fim-Cisl per una regolazione del commercio internazionale di armi si è esteso anche a livello globale e in particolare europeo: “Siamo all’assurdo – ha dichiarato a Conquiste Gianni Alioti, dell’ufficio internazionale della Fim-Cisl – se in Europa si può essere sanzionati se si superano le “quote latte”, ma non succede nulla se si vendono armi a regimi dittatoriali che non rispettano diritti umani fondamentali o a paesi coinvolti in conflitti armati”.
( dal sito Conquiste del Lavoro)

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